Gli ultimi testimoni by Svetlana Aleksievič

Gli ultimi testimoni by Svetlana Aleksievič

autore:Svetlana Aleksievič [Aleksievič, Svetlana]
La lingua: ita
Format: epub, mobi, azw3
Tags: Political Science, Genocide & War Crimes
ISBN: 9788858773185
Google: uQihDQAAQBAJ
editore: Bompiani
pubblicato: 2016-04-26T22:00:00+00:00


“AVEVAMO PERSINO SCORDATO QUESTA PAROLA…”

Anja Gurevič, 2 anni.

Oggi: montatrice di radio.

Non so se fossi stata io a ricordarmelo o la mamma poi a raccontarmelo…

Camminavamo per strada con grande fatica: la mamma era malata e io e la mia sorellina eravamo piccole: mia sorella aveva tre anni e io due. Come poteva salvarci?

La mamma aveva scritto un bigliettino con il nostro nome, cognome, l’anno di nascita e me l’aveva infilato in tasca dicendo: “Va’!” indicandomi una casa, dove c’erano dei bambini che saltavano. Voleva che sfollassi, che partissi con la casa per l’infanzia, temeva che saremmo morti tutti. Desiderava salvare almeno una di noi. Dovevo andarci da sola: se la mamma ci avesse accompagnato, ci avrebbero rispedito indietro. Accoglievano solo i bambini che erano rimasti senza genitori. Tutto il mio destino era appeso a quel non voltarmi, altrimenti non avrei mai lasciato la mamma, come tutti i bambini. Le sarei saltata al collo in lacrime e nessuno mi avrebbe costretto a rimanere in quella casa con degli estranei. Il mio destino…

La mamma mi aveva detto: “Va’ ad aprire quella porta.” E io l’avevo aperta. Ma la casa per l’infanzia non aveva fatto in tempo a evacuare…

Ricordo una grande sala… Il mio lettino accanto alla parete. E moltissimi altri lettini tutti uguali. Li rifacevamo con cura, con molta cura. Il guanciale doveva sempre essere risistemato allo stesso posto. Se l’avevi sistemato nel punto sbagliato, l’educatrice ti sgridava, soprattutto quando dovevano venire da noi certi zii vestiti di nero. Dei Polizei o forse dei tedeschi, ricordo solo che erano vestiti di nero. Non ricordo che ci picchiassero, ma avevamo lo stesso paura che lo facessero. Non riesco a ricordare i nostri giochi… Le nostre monellerie… Non stavamo mai fermi: rassettavamo, lavavamo, ma questi erano dei lavori. Non ricordo nessuna occupazione da bambini. Né risate… né capricci.

Nessuno ci coccolava, ma non piangevo mai pensando alla mamma. Nessuno dei ragazzini che mi stavano accanto aveva la mamma. Non ci veniva neppure più in mente quella parola. L’avevamo scordata.

Ecco come ci nutrivano: in tutta la giornata ci davano una scodella di pappa e un pezzetto di pane. A me non piaceva la pappa e cedevo la mia porzione a un’altra bambina che in cambio mi dava il suo pane. Avevamo stretto amicizia. Nessuno prestava attenzione a noi, filava tutto liscio finché un’educatrice non ha notato il nostro baratto. Mi hanno messo in ginocchio da sola in un angolo. E sono rimasta lì a lungo… nella grande sala vuota. Persino ora quando sento la parola “pappa” mi vien voglia di piangere. Una volta diventata adulta non riuscivo a capire come mai questa parola provocasse in me tanto disgusto. Mi ero scordata della casa per l’infanzia…

Avevo ormai sedici anni, forse diciassette… Ho incontrato la mia educatrice della casa per l’infanzia. Era seduta in autobus… La fissavo e mi sentivo irresistibilmente attratta da lei, come da una forza magnetica. Al punto che ho saltato la fermata. Non conoscevo quella donna, non me la ricordavo, eppure mi attraeva. Alla fine non ce l’ho fatta e sono scoppiata in un pianto dirotto.



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